Dal 14 giugno 2014 (data di entrata in vigore delle nuove modifiche agli artt. 45-67 del Codice Del Consumo, CDC, D.Lgs. 206/2005) basta poco, al titolare di un sito web che fornisce contenuti digitali o servizi online ai consumatori (intendendo come tali tutti gli utenti non professionisti) per rischiare una sanzione economicamente corposa: abbiamo dimenticato di inserire tutte le informazioni considerate obbligatorie secondo il CDC? Abbiamo omesso i riferimenti al diritto di recesso oppure non ne abbiamo rispettato precisamente la disciplina del CDC? Potrebbero essere ritenute violazioni del CDC (quali pratiche commerciali scorrette, pare di intendere ai sensi del nuovo art. 66 CDC) e quindi sanzionate – tra l’altro – con somme non inferiori a € 5.000, fino a un massimo di € 5.000.000. Non forniamo le informazioni richieste in sede di verifica da parte dell’Autorità preposta? Si rischia la sanzione da € 2.000 a € 20.000. Mentre in caso di informazioni false l’ammontare va da € 4.000 a € 40.000 (essendo un falso in scrittura privata potranno anche essere trasmessi gli atti alla Procura per il reato di falso ex art. 485 c.p., crediamo). Più grave ancora l’inottemperanza agli impegni assunti o agli ordini di rimozione o inibitoria disposti dall’Autorità: da € 10.000 fino a € 5.000.000 da pagare, arrivando – in caso di reiterata inottemperanza a quanto richiesto dall’AGCM – fino alla sospensione dell’attività d’impresa.
Quanto sopra può essere erogato come sanzione da parte dell’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nota anche come Antitrust, v. http://www.agcm.it – si vedano anche le pagine informative: http://www.agcm.it/component/content/article/6858.html) senza nemmeno passare dall’autorità giudiziaria, tramite l’espletamento delle procedure indicate nel CDC (in particolare all’art. 27). Pertanto, un notevole vantaggio per un consumatore che voglia farsi rispettare e non possa o voglia transitare attraverso le vie giudiziali (sempre più lunghe e costose, nonostante il processo telematico) ma che voglia farsi giustizia semplicemente con una segnalazione all’AGCM (http://www.agcm.it/consumatore/5616-come-segnalare.html).
E non c’è nemmeno bisogno dell’istanza del consumatore: difatti l’AGCM può, sulla carta, procedere persino d’ufficio, a seguito di propri monitoraggi e verifiche. Non sappiamo quanto saranno corpose tali iniziative autonome dell’Autorità, tuttavia in un immediato futuro ciò potrebbe avvenire su base regolare (analogamente a quanto svolge da tempo il Garante della Privacy con le ispezioni programmate semestrali). In materia possono sempre intervenire le associazioni di consumatori, in rappresentanza dei propri iscritti.
Può far riflettere che l’AGCM possa avvalersi, in sede di indagine, anche della Guardia di Finanza: i controlli ai sensi del CDC potrebbero essere disposti in sede di ispezione fiscale. Ricordiamo en passant altre due importanti competenze, qui pertinenti e applicabili all’e-commerce: la prima, che l’AGCM risponde anche alle richieste di verifica di vessatorietà delle clausole generali di contratto proposte ai consumatori (http://www.agcm.it/consumatore/clausole-vessatorie.html); la seconda, che sempre la Guardia di Finanza può effettuare accertamenti persino sul rispetto della normativa privacy (D.Lgs. 196/2003 – http://www.gdf.gov.it/GdF/it/Chi_siamo/Organizzazione/Compiti_istituzionali/info-1800945640.html).
Le novità legislative, nella loro tortuosità e complessità, criticate da numerosi studiosi del diritto, vogliono rendere più stringente l’applicazione di una normativa che tuteli più efficacemente il consumatore, fino ad oggi non molto rispettato nel nostro Paese, specie nei casi di micro-violazioni dal valore di importo modesto che non trovano modo di essere difese con onerose azioni giudiziali. La linea adottata (in sede comunitaria anzitutto, visto che le modifiche rispondono al recepimento della direttiva 2011/83/UE – http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:304:0064:0088:it:PDF) vuole dunque porre un freno a tali violazioni, offrendo uno strumento di enforcement più agile, economico e rapido delle consuete vie giudiziarie e designando le cd. Autorità indipendenti quali vigili tutori e sanzionatori diretti. Analogamente a quanto sta accadendo in materia di diritti d’autore e connessi, vedi i compiti dell’AGCOM circa le violazioni commesse online (http://www.agcom.it/tutela-del-diritto-d-autore).
Orbene, che fare per mettersi in regola? Non è facile riassumere in poche righe una disciplina fortemente innovativa e assai complessa, tutt’altro che di facile lettura e comprensione (quando invece la tutela del consumatore dovrebbe fregiarsi di chiarezza e semplicità…). Ci limitiamo qui a segnalare le maggiori novità, tuttavia è chiaro che sarebbe necessario far rivedere il proprio sito e le condizioni di contratto a un consulente specializzato, un vero e proprio screening che attesti lo stato giuridico del sito web (scoprire le patologie) e cosa fare per mettersi in regola (le cure). Così la propria attività potrà essere in regola con il CDC e si potrà procedere con tranquillità, senza temere sanzioni o procedimenti dell’AGCM.
In breve notiamo che:
– resta inalterata l’applicazione del D.Lgs. 70/2003 sul commercio elettronico (http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/03070dl.htm), la cui disciplina si somma a quella del CDC;
– i contratti conclusi online rientrano tra i “contratti conclusi a distanza” indicati nell’applicazione del CDC;
– tutti i documenti annessi al contratto come i moduli, formulari, note d’ordine, la pubblicità e le comunicazioni online debbono contenere un “riferimento” al Capo I titolo III parte III del CDC: potrebbe bastare la semplice menzione dunque della disciplina applicabile e applicata;
– va informato comprensibilmente e chiaramente il consumatore, prima della stipula del contratto, elencandogli vari elementi come ad es. le caratteristiche principali dei beni o servizi, l’identità del professionista e i suoi contatti, i costi e le spese, garanzie applicabili, modalità e informazioni sul recesso, ecc.;
– è previsto dal nuovo CDC un modello per l’esercizio del recesso del consumatore (oggi, generalmente, esercitabile entro 14 giorni), non obbligatorio come redatto in sé ma che si può adattare alle proprie esigenze; si può proporlo sul proprio sito al consumatore, permettendogli di compilarlo e inviarlo online o invece di permetterne la stampa per la compilazione e invio postale; sul recesso va fatta un’attenta valutazione caso per caso, visto che si potrebbe avere una situazione che esclude il diritto di recesso;
– se si tratta di vendita di “contenuti digitali” consegnati online (es. file fonografici, audiovisivi, ebook, ecc.), si deve indicare l’interoperabilità software e hardware che sia nota o che sia ragionevole attendersi, quindi di fatto vanno indicati i requisiti richiesti all’utente per poter fruire dei contenuti; inoltre ne vanno indicate le funzionalità e le misure di protezione tecnica (pensiamo ad es. ai DRM applicati alla protezione degli ebook);
– andando contro una prassi diffusa che vede le condizioni liberamente modificabili unilateralmente dal titolare del sito web, si chiarisce che ogni modifica va effettuata rigorosamente con accordo tra le parti; potrà bastare una proposta di modifica delle condizioni di contratto come attualmente devono fornire le banche ai correntisti?
– se l’utente deve pagare il servizio o il bene online, deve esservi icona o link ove effettuare il click di accettazione che riporti “Ordine con obbligo di pagare” o simile dicitura, proprio per segnalare al consumatore l’importante effetto di quel semplice click;
– le informazioni contenute sul sito web – anche se non riportate direttamente nel contratto – ne fanno comunque parte; novità dirompente che fa divenire testo contrattuale tutto quanto si trovi sul sito in merito; le informazioni, dunque, dovranno formare un insieme coerente con il contratto, facendo nascere dubbi sugli effetti giuridici di eventuali contrasti tra informazioni rese sul sito e il contratto vero e proprio.
Come visto, non sono poche le novità e i loro effetti, ancora non del tutto chiari (la formulazione normativa non è davvero esemplare). Vedremo col tempo quanto di ciò sarà effettivamente recepito nella prassi e quale portata avrà l’intervento dell’AGCM. Possiamo comunque consigliare, fin d’ora, di non prendere a esempio – come sovente accade – siti web esteri che vendono online anche in Italia, pur in lingua italiana: spesso non hanno sedi in Italia e pertanto non ritengono di applicare le nostre normative (tantomeno quelle comunitarie), alleggerendo parecchio i propri siti da tutti gli obblighi visti sopra e altri ancora. Non si faccia però lo stesso errore, da italiani: le conseguenze potrebbero pesare parecchio sulla propria attività.